RISCALDAMENTO
CENTRALIZZATO
Il condomino che non l'abbia fatto inizialmente, può allacciarsi
all'impianto centralizzato anche in un secondo momento.
Questo, infatti, costituisce un bene comune a tutti i condomini.
Contabilizzatori di
calore
L'articolo 26, comma 5, della legge 9/1/1991, n. IO, stabilisce
che per le innovazioni relative all'adozione di sistemi di
termoregolazione e di contabilizzazione del calore, e per il
conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo
effettivamente registrato, l'assemblea dei condomini, in deroga agli
articoli 1120 e 1136 del Cod. civ., decide a maggioranza, ossia con
il voto favorevole della metà più uno degli intervenuti. La stessa
maggioranza è sufficiente per modificare un criterio precedentemente
adottato.
Negli edifici dotati di sistema di contabilizzazione del calore
appare corretto suddividere la spesa globale di consumo in ragione
del 20-50% in base alla superficie radiante di ciascuna unità
immobiliare, e per la restante quota tenendo conto del consumo di
ciascuna unità. Una soluzione corretta potrebbe essere 30 e 70. A
stabilire le percentuali è l'assemblea, con il voto favorevole della
metà più uno degli intervenuti, indipendentemente dai millesimi
rappresentati. Quanto alle spese di manutenzione e conservazione
dell'impianto, ci si deve rifare alla tabella millesimale del
riscaldamento. Se l'assemblea ha deliberato l'installazione dei
contabilizzatori di calore, alla spesa devono contribuire anche i
condomini che non abbiano votato a favore, a meno che gli altri non
accettino di esonerarli dal parteciparvi, ferma restando
l'applicazione dei misuratori anche nelle loro unità immobiliari.
Distacco
Il condomino può legittimamente rinunciare all'uso del riscaldamento
centralizzato se il regolamento contrattuale non lo vieta e
distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto
comune, senza neessità di autorizzazione o approvazione da parte
degli altri condomini, se prova che dalla sua rinuncia e dal
distacco non derivano né un aggravio di spese per coloro che
continuano a fruire dell'impianto, né uno squilibrio termico
dell'intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione del
servizio. La delibera assembleare che respingesse la richiesta di
autorizzazione al distacco in presenza di questi presupposti sarebbe
nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla
cosa comune.
Se questi due presupposti non vengono soddisfatti è necessario il
consenso di tutti gli altri condomini. Unanimità di consensi anche
se il distacco determina uno squilibrio termico eliminabile soltanto
attraverso un aggravio dei costi a carico dei condomini che
continuano a servirsi dell'impianto, o se l'obbligo di contribuire
comunque alla spesa è sancito da un regolamento contrattuale.
Per evitare possibili discussioni è preferibile che il distacco
dall'impianto centralizzato venga eseguito da un tecnico, alla
presenza dell'amministratore, e che dell'operazione venga redatto
un verbale firmato dai presenti, da conservare agli atti del
condominio.
Chi si distacca dall'impianto centralizzato deve continuare a
contribuire alle spese richieste dalla sua conservazione
(manutenzione ordinaria e straordinaria, compresa la sostituzione
della caldaia), poiché ne rimane comproprietario, a meno che non
venga esonerato da tutti gli altri condomini. Non è invece tenuto a
contribuire alle spese richieste dal funzionamento dell'impianto:
come quella per l'acquisto del combustibile.
Frazionamento
L'impianto centralizzato di riscaldamento non può essere frazionato
poiché i locali che lo ospitano costituiscono un complesso
indivisibile.
Guasto
L'assemblea può, ma soltanto all'unanimità, deliberare di rinunciare
a riparare e quindi ripristinare l'impianto che si sia guastato. La
stessa Cassazione ha sancito la nullità della delibera con la quale
l'assemblea aveva, a maggioranza, stabilito di non eseguire i
lavori di manutenzione e adattamento dell'impianto, perché ritenuti
economicamente troppo onerosi.
Se il guasto si verifica in coincidenza dell'innesto sulla colonna
montante, la metà della spesa occorrente alla riparazione grava sui
proprietari di tutti gli appartamenti serviti dalla colonna,
compreso quello dell'appartamento interessato al guasto, che deve
farsi carico dell'altra metà. Questo criterio è applicabile in
mancanza di un regolamento contrattuale.
Locale
caldaia
Il locale caldaia rientra fra le parti comuni dell'edificio, ai
sensi dell'articolo 1117 del Cod. civ., ma la comproprietà può
essere esclusa in capo al condomino che non fruisca del servizio in
quanto proprietario soltanto di negozio ed escluso dalla tabella
millesimale relativa al riscaldamento. Un condomino non può
utilizzare in via esclusiva i locali già sede dell'impianto
centralizzato dismesso, a meno che non venga autorizzato da tutti
gli altri condomini. L'assemblea può, a maggioranza, non
trattandosi d'innovazione, deliberare di concederli in locazione a
uno o più condomini o a terzi, ma soltanto se non sia possibile l'u¬tilizzazione
diretta da parte dei condomini, neppure attraverso l'istituzione di
turni.
Locazione
Se i condomini hanno deliberato di dismettere l'impianto
centralizzato, il conduttore può agire, anche con richiesta di
provvedimento d'urgenza, per ottenere che il locatore fornisca
l'immobile di idoneo impianto autonomo, se dal contratto risulta che
ha diritto al servizio di riscaldamento per l'inte¬ro periodo della
locazione. Il conduttore non può invece pretendere con ricorso in
via d'urgenza il mantenimento dell'impianto centralizzato, né può
impugnare la delibera con la quale l'assemblea disponga la
sospensione o addirittura la soppressione del servizio, essendo
egli estraneo al rapporto intercor¬rente fra il condominolocatore e
il condominio. Può però chiedere i danni al locatore.
I conduttori di appartamenti ubicati in edificio con unico
proprietario possono gestire direttamente il servizio di
riscaldamento, ma con l'autorizzazione del locatore, poiché il loro
potere di decisione è limitato alle spese e alle modalità di
gestione del servizio, non alla gestione in sé.
Modifiche
Il condomino non può apportare modifiche alla parte d'impianto
condominiale di pertinenza del suo appartamento, se l'intervento
impedisce o ri¬duce l'utilizzazione dell'impianto da parte degli
altri condomini, come nel caso in cui si dovesse interrompere il
percorso delle tubature.
Orario di
accensione
Il periodo di accensione degli impianti di riscaldamento
centralizzati, l'orario giornaliero di funzionamento e la
temperatura massima degli am¬bienti sono stabiliti dal Dpr
26/8/1993, n. 412. A questo fine il territorio nazionale è diviso in
sei" Zone climatiche: dalla F, che raggruppa le loca¬lità più
fredde, alla A, che raccoglie quelle più temperate. A ciascuna di
queste zone corrisponde una diversa durata del periodo annuale di
accen¬sione e un diverso orario giornaliero di funzionamento.
L'unità di misura utilizzata è costituita dai gradigiorno, cioè
dalla differenza fra la tempera¬tura media degli ambienti,
convenzionalmente fissata in 20 gradi, e la temperatura esterna
giornaliera; pertanto, più è alta questa differenza, più a lungo si
possono tenere accesi gli impianti di riscaldamento. L'orario di
accensione può essere frazionato in due o più sezioni.
Le prime ore del mattino e quelle se¬rali, essendo le più fredde,
non possono essere escluse dal periodo di ac¬censione. In
particolare, il quarto comma dell'art. 9 L. 26/8/1993, n. 412,
stabilisce che la durata di attivazione degli impianti non ubicati
nella zona F deve essere comunque compresa tra le ore 5 e le ore 23;
sta pertanto ai condomini scegliere la fascia oraria più consona
alle loro esigenze.
L'amministratore deve esporre presso l'impianto centralizzato una
tabella con l'indicazione sia del periodo annuale di funzionamento
sia dell'orario giornaliero di attivazione prescelto, nonché delle
generalità e del domicilio del responsabile dell'esercizio e della
manutenzione.
L'orario di accensione viene generalmente deliberato dall'assemblea,
ma per conferire maggiore flessibilità alla conduzione dell'impianto
in rela¬zione all'andamento della stagione, la decisione può essere
delegata al¬l'amministratore o a un condomino. Se però l'assemblea
ha stabilito un orario giornaliero e non ha autorizzato
l'amministratore a derogarvi, que¬sti non può modificarlo. Se non si
trova un accordo sull'orario di accensio¬ne dell'impianto ci si deve
rivolgere al Giudice di pace. Il sesto comma, let¬tera e),
dell'articolo 19 del Dpr 26/8/1993, n. 412, stabilisce che gli
impian¬ti centralizzati, di qualsiasi potenza, dotati di apparecchi
per la produzione di calore con valori minimi di rendimento non
inferiori a quelli richiesti per i generatori di calore, installati
a partire dal 29/IO/1993 e dotati di gruppo termoregolatore pilotato
da una sonda di rilevamento della tempe¬ratura esterna con
programmatore che consenta la regola zio ne almeno su due livelli
nell'arco delle 24 ore, possono essere condotti in esercizio
conti¬nuo. È però necessario che il programmatore giornaliero venga
tarato e si¬gillato per il raggiungimento di una temperatura degli
ambienti pari a 16 gradi centigradi con una tolleranza di due gradi,
nelle ore al di fuori della durata giornaliera di attivazione
prevista.
Il sindaco, su conforme delibera, immediatamente esecutiva, della
giunta, può altresì autorizzare, per un periodo non superiore a 15
giorni, la modifi¬ca della durata e degli orari giornalieri di
esercizio degli impianti, per com¬provate esigenze o per
straordinarie situazioni climatiche. Norme partico¬lari sono in
vigore nelle Province autonome di Trento e Bolzano.
Se una sentenza ha stabilito l'accensione notturna dell'impianto per
assi¬curare a un condomino un'erogazione di calore pari a quella
fruita dagli al¬tri, l'assemblea può ugualmente deliberare lo
spegnimento dell'impianto in queste ore, ma a condizione che vengano
posti in essere accorgimenti tecnici tali da assicurare al condomino
lo stesso calore previsto dal provve¬dimento giudiziario.
L'esistenza di un pericolo imminente e irreparabile alla salute dei
condo¬mini a causa della mancata attivazione dell'impianto di
riscaldamento,
unitamente ai particolari rigori della stagione invernale, sono
stati ritenuti dal Pretore di Molfetta presupposti validi per l'e¬manazione
di un provvedimento di urgenza. Il Pretore di Marigliano ha
autorizzato con provvedimento di urgenza il con¬domino a provvedere
direttamente all'accensione poiché l'amministratore non vi aveva
fatto luogo.
Radiatori
Se in un appartamento il numero dei radiatori allacciati
all'impianto cen¬trale è inferiore a quello degli attacchi
predisposti, è possibile allacciare i residui elementi, ma a
condizione che non vi sia stata rinuncia al diritto di usare
l'impianto comune, o non risulti che i limiti di utilizzazione del
ser¬vizio sono stati raggiunti con l'installazione dei radiatori già
funzionanti.
Il condomino può essere autorizzato dall'assemblea ad aumentare la
su¬perficie radiante nel proprio appartamento, se del caso a fronte
del paga¬mento di una somma, a titolo di conguaglio di quanto a suo
tempo versato per l'allaccio, somma da dividere fra gli altri
condomini in base alla super¬ficie radiante della rispettiva unità
immobiliare. L'aumento della superficie radiante non è consentito se
pregiudica il diritto degli altri condomini.
In mancanza di un regolamento contrattuale che disponga altrimenti,
alle spese richieste dall'eliminazione dell'aria nei radiatori e
dalla loro disin¬crostazione deve provvedere il singolo condomino,
in quanto proprietario dei radiatori.
Il condomino non può chiudere i radiatori del proprio appartamento
al so¬lo fine, per esempio, di far diminuire la temperatura nel
sopra stante ap¬partamento. Questo comportamento, peraltro difficile
da provare trattan¬dosi di dimostrare sia la mancanza di utilità per
chi lo pone in atto, sia l'in¬tenzione di nuocere al prossimo, è
riguarda bile come atto di emulazione e quindi illegittimo ai sensi
dell'articolo 833 del Cod. civ..
Il condomino non può sottrarsi alla spesa per il riscaldamento
facendo si¬gillare i radiatori, neppure per una parte del periodo di
accensione, a meno che non intervenga un'autorizzazione da parte di
tutti gli altri condomini. Il condomino non può sostituire i
radiatori se l'innovazione incide negati¬vamente sul rendimento
dell'impianto condominiale (la circostanza può essere verificata
attraverso una perizia).
Ricostruzione
La demolizione dell'impianto e la sua ricostruzione in altro luogo
con ca¬ratteristiche diverse per adeguarlo alla legge costituiscono
innovazione e non opera di manutenzione straordinaria. Richiede
pertanto il voto favorevole di almeno la metà dei partecipanti al
condominio, in rappresentanza di almeno i due terzi del valore dell'
edificio sia in prima che in seconda convocazione.
Rumori
Il condominio è obbligato a eliminare le immissioni rumorose
prodotte dall'impianto centralizzato, se esse sono tali da superare
la normale tolle¬rabilità; circostanza verificabile attraverso una
perizia fonometrica. Que¬st'obbligo sussiste anche quando il
condominio sia sorto dopo la costru¬zione dell'edificio.
Dimostrando l'intollerabilità delle immissioni rumorose provenienti
dal¬l'impianto centralizzato è possibile chiedere il risarcimento
del danno bio¬logico che ne è derivato. Se non è possibile
quantificare il danno provvede il Giudice in via equitativa, sulla
base di un importo che non può essere meramente simbolico.
Sicurezza
Ciascun condomino o conduttore può richiedere a proprie spese che, a
cura delle competenti autorità (il Comune nelle città con più di
40.000 abitanti, le Province negli altri casi), venga verificata
l'osservanza delle dispo¬sizioni di legge in materia di sicurezza
dell'impianto. Almeno ogni due anni, comunque, gli organi preposti
devono effettuare controlli: direttamente o avvalendosi di tecnici
esterni, con onere a carico degli utenti.
Soppressione
La delibera con la quale l'assemblea decida soltanto la soppressione
dell'impianto centralizzato, e non anche la sua trasformazione in
impianti individuali a gas, adottata con la semplice maggioranza
delle quote millesimali prevista dalla legge 9/1/1991, n. 10 (norme
in materia di uso raziona¬le dell'energia, di risparmio energetico e
di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), è nulla; questa
materia, infatti, non rientra tra quelle privilegiate adottabili
senza l'unanimità prevista da questa legge. L'assemblea può, con il
voto favorevole della maggioranza dei partecipanti al condominio, in
rappresentanza di almeno i due terzi del valore dell' edificio
(667/1.000), deliberare di mantenere in eserci¬zio il dismesso
impianto centralizzato al solo fine di riscaldare i locali
con¬dominiali; trattasi infatti di un'attività che, senza alterarne
la consistenza e la destinazione originaria, attua il potenziamento
e il migliore godimento della cosa comune.
Sostituzione
caldaia
La sostituzione della caldaia (altrimenti conosciuta come
bruciatore) divenuta inservibile rientra fra gli atti di
straordinaria amministrazione. L'in¬tervento, infatti, è diretto a
ripristinare la funzionalità dell'impianto senza alcuna modifica
sostanziale e funzionale. Se invece la sostituzione avviene con
altro bruciatore, per esempio a metano anziché a gasolio,
consentendo così l'utilizzazione di una fonte di energia più
redditizia ed economica, e meno inquinante, l'iniziativa rientra fra
le modifiche migliorative e non fra le innovazioni, essendo
irrilevante l'asserita onerosità degli interventi necessari
all'adeguamento. l primo caso (straordinaria amministrazione) è
sufficiente il voto favorevole della metà più uno degli intervenuti
all'assemblea, in rappresentanza di almeno 500 millesimi (un terzo
dei condomini in rappresentanza di almeno 334 millesimi in seconda
convocazione). Nel caso della modifica migliorativa è invece
necessario il voto favorevole della metà più uno dei condomini, in
rappresentanza di almeno 667 millesimi, sia in prima che in seconda
convocazione. La spesa per la sostituzione della caldaia deve essere
ripartita fra i condomini (anche quelli che si siano staccati
dall'impianto, poiché ciò non fa venir meno la loro comproprietà) in
proporzione ai millesimi di proprietà, salvo diverso accordo. Un
criterio alternativo potrebbe essere quello di usare i millesimi del
riscaldamento. Sono invece esonerati dal contribuire alla spesa i
proprietari di locali non serviti dall'impianto.
Spese
Per la suddivisione delle spese richieste dall'impianto
centralizzato (dal combustibile all'energia, dalla manutenzione alle
piccole riparazioni) si possono seguire tre diversi criteri.
a. La superficie irradiata, ossia la dimensione dell'unità
immobiliare espressa in metri quadrati. Questo metodo, molto
diffuso, non è corretto se i vari piani hanno altezze diverse: i
locali con il soffitto più alto, infatti, devono essere riscaldati
di più.
b. La cubatura dei locali, ossia tenendo conto anche dell'altezza
delle pareti oltre che delle dimensioni dell'unità immobiliare.
c. La superficie radiante, vale a dire il numero e la dimensione
degli elementi (radiatori) installati nelle varie unità immobiliari.
Questo criterio presenta alcuni inconvenienti. Il primo riguarda i
caloriferi: se sono tutti dello stesso tipo non c'è alcun problema,
ma se i radiatori sono diversi bisogna tenere conto anche delle loro
caratteristiche tecniche. L'applicazione del criterio, inoltre,
obbliga a una vigilanza continua, perché qualche condomino, per
esempio, potrebbe aggiungere nuovi elementi, oppure installare, di
nascosto, caloriferi con caratteristiche tecniche diverse da quelle
standard, finendo così per consumare più di quanto gli viene
teoricamente attribuito.
La giurisprudenza propende per l'applicazione di quest'ultimo
criterio: più elementi radianti si hanno, più si paga. Questo
criterio è ritenuto conforme a quello dettato dal secondo comma
dell'articolo 1123 del Cod. civ., per il quale se si tratta di cose
destinate a servire i condomini in misura diversa le spese sono
ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne. È molto
seguito, però, il criterio misto: metà della spesa ripartita in base
alla cubatura, e l'altra metà in base alla superficie radiante. Il
criterio di suddivisione della spesa previsto dal suddetto articolo
può essere modificato solo con il consenso di tutti i condomini.
Poiché l'obbligo di contribuire alla spesa prescinde dall'effettiva
fruizione del servizio, deve pagare la bolletta del riscaldamento
anche chi tiene l'appartamento sfitto o passa l'inverno altrove, a
meno che gli altri condomini, all'unanimità, non lo abbiano
esonerato in tutto o in parte.
Per stabilire se il proprietario di un appartamento o di un locale
non servi¬to da riscaldamento è tenuto o meno a concorrere alle
spese di manuten¬zione dell'impianto occorre distinguere. Se
l'impianto esisteva prima della formazione del condominio, ed è
potenzialmente idoneo a scaldare l'ap¬partamento o il locale, il
condomino deve essere considerato comproprieta¬rio dell'impianto e
quindi tenuto a concorrere alle spese di manutenzione,
indipendentemente dal fatto che nei suoi locali vi siano o meno
diramazio¬ni dell'impianto. Sulla stessa linea inter¬pretativa la
Corte d'Appello di Trieste che, con sentenza del 24/5/1985, ha
considerato la centrale termica comune anche al proprietario di uno
scan¬tinato destinato a magazzino, ancorché non servito
dall'impianto, poiché questo era tale da consentire, senza modifica
alcuna e senza alcuna anor¬malità di gestione tecnica della caldaia,
l'erogazione del calore anche allo¬cale.
Se il conduttore non paga il riscaldamento l'amministratore non può
agire giudizialmente nei suoi confronti ma deve richiedere il
pagamento solo al condomino, che potrà a sua volta rivalersi nei
confronti del conduttore mo¬roso.
Teleriscaldamento
Il teleriscaldamento (dal greco "tele", che significa lontano) è una
tecnolo¬gia che consente di utilizzare il vapore prodotto in
eccedenza da una cen¬trale elettrica, per il riscaldamento di
edifici o di interi quartieri, a seconda della potenza
dell'impianto) situati a distanza, anche considerevole dal luogo di
produzione, con conseguente risparmio nei costi e riduzione del
tasso d'inquinamento.
Per la ripartizione, fra i condomini, della spesa richiesta
dall'allaccio al si¬stema di teleriscaldamento, il più recente
orientamento della Cassazione è nel senso di seguire il criterio
della su¬perficie radiante. Se la spesa è molto gravosa (circostanza
da verificare in concreto, in relazione allo stato dei luoghi), i
condomini che non intendo¬no trame vantaggio sono esonerati dal
contribuirvi; si tratta, infatti, di un impianto suscettibile di
utilizzazione. Provare l'onerosità dell'intervento è a carico di chi
lo contesta.
I condomini e i loro eredi o aventi causa (per esempio, gli
acquirenti delle unità immobiliari) possono in qualunque momento
partecipare ai vantag¬gi dell'innovazione, contribuendo alle spese
di manutenzione e di esecu¬zione dell'opera, opportunamente
rivalutate.
Temperatura
L’articolo 4 del Dpr 26/8/1993, n. 12, dispone che, durante il
periodo di ac¬censione, la media aritmetica delle temperature
dell'aria nei diversi am¬bienti di ogni singola unità immobiliare
non debba superare i 20 gradi centigradi, con una tolleranza massima
di 2 punti: è quindi possibile un'e¬scursione compresa fra i 18 e i
22 gradi. Negli edifici adibiti ad attività in¬dustriali, invece, la
norma è 18 gradi, con possibilità di escursione fra i 16 e i 20
gradi. Se il valore medio viene rispettato, può accadere che in un
am¬biente la temperatura sia costantemente superiore alla media. Il
manteni¬mento della temperatura entro questi limiti deve essere
ottenuto con accor¬gimenti che non comportino spreco di energia.
Può accadere che in un appartamento ci sia troppo caldo: le spese
necessa¬rie per eliminare l'inconveniente sono a carico del
proprietario, a meno che il disagio non derivi da una deficienza
nella conduzione dell'impianto, nel qual caso la spesa graverà sul
condominio.
Se la temperatura in un appartamento è insufficiente, in primo luogo
oc¬corre verificare, attraverso una perizia, se l'inconveniente è
causato da un difetto di costruzione dell'impianto, da una
diminuzione della sua efficien¬za o da una gestione non corretta.
Nel primo caso la responsabilità non può essere fatta risalire al
condomi¬nio e il proprietario dovrà pertanto rivalersi nei confronti
del venditore o del costruttore. Negli altri due casi, invece, si
può invitare l'amministratore ad attivarsi per la rimozione
dell'inconveniente: per esempio, attraverso un aumento della
superficie radiante. Se, nonostante le modifiche tecni¬che, il
disagio permane, si può chiedere al giudice una protrazione dell'o¬rario
di accensione, nell'ambito, però, dei limiti stabiliti dalla legge.
Questa possibilità incontra però dei limiti: il prolungamento
dell'orario, infatti, deve essere consentito dalle caratteristi¬che
dell'impianto e non deve recare pregiudizio agli altri condomini. Le
maggiori spese per il più intenso funzionamento dell'impianto, anche
in relazione all'eventuale deterioramento, sono a carico del
condomino beneficiario, che dovrà accollarsi anche l'eventuale spesa
necessaria per la mes¬sa in opera di strumenti o accorgimenti
tecnici finalizzati a evitare un ec¬cesso di calore negli altri
appartamenti.
Un'altra possibilità è quella di dotarsi di un impianto aggiuntivo,
a condi¬zione che non renda inservibile o meno economico l'uso di
quello centra¬lizzato. Il riscaldamento è un servizio strettamente
collegato alla salute di chi abita l'edificio, per il quale non solo
il proprietario, ma anche il condut¬tore, può chiedere al giudice,
attraverso un avvocato, un provvedimento di urgenza.
Se la temperatura è insufficiente non ci si può rifiutare di
contribuire alla spesa, né ci si può autoridurre il contributo;
neppure si può pretendere la restituzione dei contributi versati
durante il periodo in cui il riscaldamento era insufficiente, dal
momento che il servizio, ancorché entro certi limiti, è pur sempre
stato erogato. È invece pos¬sibile agire giudizialmente per ottenere
il risarcimento degli eventuali danni.
Il condomino può anche staccarsi dall'impianto centralizzato se il
condo¬minio, pur ripetutamente sollecitato, per anni non ha
provveduto a mette¬re l'impianto centralizzato in condizione di
fornirgli una temperatura ade¬guata; né è tenuto a riallacciare il
nuovo impianto a quello condominiale.
Trasformazione da centralizzato ad autonomo
La trasformazione dell'impianto di riscaldamento da centralizzato in
im¬pianti autonomi unifamiliari può essere adottata con il voto
favorevole di tanti condomini che rappresentino almeno 501 millesimi
(secondo com¬ma, articolo 26 della legge 9/1/1991, n. 10). Questa
maggioranza ridotta, introdotta per favorire il risparmio energetico
e quindi a tutela di un inte¬resse superiore a quello del
condominio, prevale sull'eventuale più elevata maggioranza prevista
dal regolamento, ancorché contrattuale. La delibera è valida anche
se non accompagnata dal progetto delle opere corredato dal¬la
relazione tecnica di conformità di cui al primo comma dell'articolo
28 del Cod. civ., attenendo tale progetto alla successiva fase di
esecuzione della delibera. La delibera è però illegitti¬ma se non
contiene alcun riferimento al rispetto delle prescrizioni per la
riduzione dei consumi energetici dettate dalla legge.
Trasformazione da gasolio a metano
La Cassazione a considerato la trasfor¬mazione da gasolio a gas
metano un'innovazione: per la sua introduzione, quindi, è richiesto
il voto favorevole della metà più uno dei partecipanti al
condominio, in rappresentanza di almeno i due terzi del valore dell'edifi¬cio
(667 millesimi).
Tubi
La spesa per la sostituzione dei tubi dell'impianto centralizzato fa
carico, fino al punto di diramazione ai locali dei singoli
condomini, al condomi¬nio, con i condomini chiamati a contribuirvi
in proporzione ai millesimi di proprietà. Per il tratto successivo,
invece, la spesa è a carico esclusivo del proprietario dell'unità
immobiliare. Se però l'impianto è in una situazione d'inscindibilità
materiale o funzionale con i componenti installati nelle singole
unità immobiliari (per esempio se è stato realizzato con serpentine
inserite nei solai), l'assemblea può validamente deliberare che
anche la spesa richiesta dalla loro riparazione venga ripartita in
base ai millesimi di proprietà.
Se i tubi dell'impianto condominiale attraversano un locale che non
usu¬fruisce del servizio, il proprietario di questo non è tenuto a
contribuire alle spese di riscaldamento, poiché tale ipotesi non dà
luogo a una compro¬prietà dell'impianto ma a un rapporto di servitù
di conduttura di liquidi a favore del condominio e a carico del
condominio.
Vendita caldaia
Se tutti i condomini si sono dotati di impianto autonomo
l’assemblea può deliberare di rimuovere (ed eventualmente vendere,
anche come rottame) la caldaia e adibire il locale ad altro uso,
sempre condominiale, con il voto favorevole della metà più uno dei
condomini, in rappresentanza di almeno 667 millesimi sia in prima
che in seconda convocazione.
|